Dante Maffia –
IL PERCORSO PITTORICO DI CONSTANTIN UDROIU è estremamente complesso perché si è mosso e si muove a un tempo su piani diversi e non trascura di soffermarsi su quegli aspetti delle arti figurative che la gran parte dei pittori ha messo in disparte o in disuso per ragioni che vanno dall’incompetenza fino all’ignoranza.
I pittori oggi hanno fretta d’arrivare e curano soprattutto le pubbliche relazioni spesso restando sull’onda con trovate salottiere; non è il caso di Constantin che invece ha pensato esclusivamente al lavoro, alla quantità e alla qualità di un lavoro enorme che l’ha visto onnivoro in direzione della grafica (disegno, incisione, acquaforte, xilografia, litografia, acquatinta), della pittura (su tela, su vetro, su tavola) e dell’affresco. Egli viene dalla rigida scuola rumena degli studiosi di icone, i suoi studi lo hanno visto impegnato su testi di storia, di patristica, di pittura bizantina ed è per questo che ancora oggi è capace di produrre raffinate e perfette icone nella stretta osservanza di quelle antiche regole già stabilite a Bisanzio. Da qui il passo verso l’affresco è stato un naturale passaggio e oggi possiamo vedere opere di Udroiu in chiese e conventi famosi di tutta Europa: immense scene del Vecchio e del Nuovo Testamento in una interpretazione vibrata che ha il sapore umano dei tempi moderni e ci fa leggere dentro le immagini come in uno specchio di carità e di ammonimento non privo di problematiche. Udroiu non offre soltanto inni sacri, il suo sacro è intinto fortemente in una terrestrità che è poi la nota alta delle sue realizzazioni. In altri termini sacro e profano in lui non sono nettamente divisi, ma riescono a trovare sempre una loro perfetta convivenza e si risolvono in un rapporto senza contrasti e semmai si integrano e si illuminano a vicenda.
A compiere questa simbiosi è la natura essenzialmente religiosa di Constantin che non sa prescindere di adornare di sacralità anche il nudo femminile o la natura morta o il paesaggio. Con il passare degli anni il nostro pittore, a differenza di quel che solitamente accade, è andato sprigionando senza sosta una tavolozza il cui cromatismo si lega ad una luce compatta e senza dispersioni; i colori hanno ritrovato la loro primigenia faccia e si sono decisamente irrobustiti pretendendo di esistere in una libertà festosa e voluttuosa. È da ciò forse quella vaga memoria impressionistica sposata con felicità a una densa fauve impressionistica che ha qualcosa di magico e fiabesco. È come se la realtà si immergesse in una più vasta realtà-irreale e trasformasse le idee in colore assommando in un unico dato anche il disegno. È evidente che in questa maniera Constantin può con nonchalance afferrare qualsiasc i creatura e fermarla (farla rivivere) nella sua galleria ideale dove il tempo e lo spazio fanno posto all’infinito. Non è forse questo il desiderio, il progetto di ogni artista?
SI COMPRENDE QUINDI ANCHE IL PERCHÉ egli può indifferentemente porre mano a fiori, uomini pensosi, santi, scorci, foreste, galli che combattono, tetti di Parigi, fanciulli, nudi, nature morte evitando di cadere in un eclettismo che se da una parte lo unirebbe all’attuale congerie postmoderna dall’altra lo allontanerebbe dalla sua qualità più preziosa che è quella di aver saputo rivisitare la storia dell’arte appropriandosi di tutte le tecniche e di tutti gli apporti e i mutamenti ma mai restando legato, impantanato nel chiuso di una lezione. Potremmo dire che Constantin è un cavallo brado della pittura che sa però trovare la sua misura nel fuoco ardente della creazione e nella poesia rigorosa della sua anima. A volte si può avere l’impressione che egli abbia attinto a Utrillo o a Van Gogh, a Cezanne o a Braque e vediamo invece che il suo sguardo (prestato a· noi) ha un’anima nuova. Certo, sguardo ricognitivo e propositivo, ma che va al di là della semplice memo ria pittorica, della semplice indicazione: Constantin vuole trovare l’essenza del colore e farla diventare materia palpitante, luce che deve riverberare il tutto della vita, e oltre la vita…
A UN CERTO PUNTO DELLA SUA ESISTENZA Udroiu aveva bisogno di una verifica che non si fermasse alle soglie della forma e potesse scavare nella sostanza interiore delle cose. Mi sembra che sia riuscito a penetrare nel vivo dell’essenza e le matasse dei colori lo dimostrano in quel loro vociare dialettico che tende a scandagliare le ragioni stesse della pittura divenendo così immagini ambivalenti, oscillazioni di verità imprendibili.
LA SERIE DELLE SIBILLE, dipinte con non parsimonioso paganesimo, con umanità intrisa di sudore e di desiderio è l’ esempio del dualismo di Constantin che continua a muoversi sui binari paralleli, per lui, del sacro e del profano; dietro queste figure misteriose c’ è la sorte degli uomini e dei popoli eppure la loro carne è piena, il loro fiato irruento, il loro colore deciso. Negli ultimi lavori, per lo più paesaggi (ma il pittore instancabilmente lavora a grandi pannelli che serviranno in Lucania per rendere sacra la via che il Papa nella sua visita attraverserà, e lavora a bellissime acqueforti che colgono essenze antiche di paesi medioevali del sud d’ Italia, della Francia e della Romania) i piani vanno sempre più intersecandosi e si aprono a prospettive quasi aeree che condensano però il colore massa con azzardate soluzioni che chiamerei architettoniche. C’è l’esigenza in Constantin di mettere contro il segno e il colore per cavarne soluzioni che forse potranno appagare la sua sete di ricerca, almeno momentaneamente. La sua tecnica si affina e diventa sottile, addirittura le icone (se confrontate a quelle di trent’anni fa) hanno raggiunto una raffinatezza degna d’ un monaco delle Meteori, ma quel che maggiormente sorregge la sua arte e la rende una preziosa miniera è l’umanità alta e profonda di questo figlio della latinità che ha saputo coniugare sempre una grande tenerezza con una impeccabile tecnica. Prova ne sia la suite dei fanciulli che, ritratti a dimensioni naturali e non come omini di Bruegel, campeggiano in grandi tele svelando la loro monelleria, la loro innocenza, la loro furbizia. Una galleria di volti, un girotondo di cinesini, indiani, neri, bianchi pronti a scommettere che se la terra fosse governata da pittori come Constantin i mali sarebbero presto debellati e il razzismo, le guerre, le altre brutture si leggerebbero soltanto nei vecchi libri incartapecoriti di un ormai ammuffito mago della cattiveria.